Europa


Il nome è molto bello, il mito un po’ meno.

 

Tra tutti i miti greci quello di Europa è proprio uno dei più antipatici, una storia di inganno,  di violenza e di sopraffazione: il toro, simbolo di potere e di potenza virile, apparentemente mansueto, rapisce la bella e imbecille fanciulla, o peggio, la bella e ipocrita fanciulla che ha bisogno di farsi rapire per affermare il suo desiderio. Da qualsiasi lato lo si prenda, è un mito antipatico.

 

Mi rifiuto di pensare che alle radici dell’Europa ci sia una storia così squallida. Così ho lasciato da parte i libri di mitologia e mi sono concentrata sull’origine geografica del nome. Secondo il Dizionario di Antichità Classiche di Oxford “Il nome Europa designava in origine la Grecia centrale. Ben presto venne esteso all’intera Grecia continentale e, verso il 500 a.C., al’intero continente situato al di là di essa. Il confine tra il continente europeo e l’Asia era generalmente fissato al fiume Don.” Bene, mi fermo qui. Già mi piace di più. Anzi, mi piace molto. Perché vuole dire che al centro dell’Europa c’è la Grecia antica, con tutto quello che comporta la sua eredità culturale nel bene e nel male, ma soprattutto con la sua idea di democrazia.

Sì, so bene che i Greci non erano perfetti come la cultura umanistica in cui siamo cresciuti noi italiani avrebbe voluto farci credere,  so altrettanto bene che la democrazia greca aveva enormi limiti e che è stata un episodio isolato nel flusso della storia. Ma resta il fatto, incontrovertibile, che questo concetto del “governo del popolo” è nato là, ad Atene, in quella città sul Mar Egeo, tra le pietre assolate di quella terra turbolenta di pensiero e di azione. E’ stato quel gruppo di uomini inquieti a partorire questo concetto di cui altri uomini, e poi molte donne, non si sono più potuti liberare. Tutti, direttamente o indirettamente, hanno dovuto misurarsi, confrontarsi con questo concetto, anche combatterlo con tutte le proprie forze, ma nessuno ha più potuto scrollarselo di dosso. La democrazia è dilagata nei secoli. Mai perfetta, certamente, ma sempre in evoluzione. Si è dovuta confrontare ed alleare con altre parole altrettanto scomode e dirompenti: libertà, uguaglianza, differenza, per citarne solo alcune. Ma nessuno ha più potuto ignorarla.

 

La vera origine dell’Europa è qui, in questa parola: democrazia.

 

Quindi stiamo parlando di politica? o di storia? Marc Bloch, un grande storico che io amo particolarmente, fucilato dalla Gestapo nel 1944,  diceva che la storia è in realtà una serie di "storie di uomini e donne nel tempo”. Ed io preferisco, ho sempre preferito, adottare questa dimensione critica. Non si può parlare di storia, né di politica, né di qualsiasi altra cosa, senza raccontare “delle storie”, senza raccontare come gli uomini e le donne hanno vissuto e vivono questi valori, senza partire dal soggettivo, se si vuole andare onestamente alla ricerca dell’oggettivo. Allora cos’è l’Europa? Un insieme di donne e di uomini con un passato comune, con valori comuni? Siamo sicuri?

 

Io sono nata nel 1954, per mia grande fortuna, 9 anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Non ho mai sentito una sirena che annunciava un bombardamento, non ho dovuto scavalcare macerie per andare a scuola, non ho visto cadaveri per strada, non ho sofferto la fame, non mi sono mai alzata la mattina senza sapere se avrei vissuto fino a sera.

Ma ho visto tutto questo in televisione, l’ho ascoltato dai ricordi di persone che l’avevano vissuto, l’ho visto nelle ferite ancora fresche della mia città, dei quartieri ancora disastrati. E soprattutto l’ho vissuto nella paura costante che tutto questo potesse ancora ripetersi. Una delle emozioni più forti della mia infanzia è stata la paura, l’incubo che tutto questo potesse tornare sapendo che se fosse tornato non ci sarebbe più stato un domani. L’incubo nucleare è quello con cui ha dovuto convivere la nostre generazione, quella di chi ha vissuto la guerra fredda. Il terrore della fine dell’umanità.

 

Eppure la storia mi insegna che in quegli stessi anni in cui si viveva quest’incubo, si lavorava per costruire un futuro basato su concetti completamente diversi.

Non voglio ora, in queste pagine, mettermi a scrivere la storia dell'Unione Europea, che chiunque può trovare semplicemente navigando qualche pagina più in là, mi limito a ricordare una data, quella del Trattato di Maastricht del 1992 che fece della Comunità europea il "primo pilastro" dell'azione dell'Unione europea.

Come sapete, in seguito a questo trattato è stato abolito, nel 1993, il controllo dei documenti alle frontiere.

E come molti di voi, io c’ero nel 1993. Abitavo a Monaco già da due anni e tante volte avevamo fatto su e giù passando dal Brennero in macchina o in treno, passaporto alla mano. Mi ricordo bene la prima volta che siamo passati da quei caselli senza fermarci. Mi ricordo quell’emozione fortissima, quella sensazione di sospensione, come di fronte ad un evento che andava oltre la nostra realtà personale. Non era solo la Storia, era uno dei gangli della storia, uno di quei momenti in cui si fa qualcosa che nessuno ha mai fatto prima. Quelle montagne, quei campi, quelle strade, erano le stesse in cui uomini e donne si erano distrutti a vicenda, massacrati a vicenda, fino a pochi decenni prima. Erano stati luoghi di odio, di distruzione, di disperazione, di terrore, di nichilismo totale. Di un dolore senza confini.

 

E in quegli stessi luoghi noi potevamo passare ora da uno stato all’altro senza che nessuna forza dell’ordine armata ci chiedesse alcunché. Eravamo liberi di circolare in questa terra che era doppiamente nostra, noi che eravamo italiani e vivevamo in Germania. E che potevamo comunque sentirci a casa. Non c’erano barriere.

 

Non vorrei che sembrasse un discorso idilliaco. Sono ben consapevole di tutti i limiti di questa Europa. So bene anche come l’apertura interna abbia significato una chiusura all’esterno, un rafforzarsi delle barriere con il resto del mondo. Ma è stato un momento di cambiamento epocale. E soprattutto un inizio.

 

Il concreto sviluppo di un concetto completamente nuovo: la federazione di stati sovrani in un’unica entità, con scopi pacifici.

 

Quando si realizza qualcosa di mai pensato prima. Come ad Atene, nel V secolo avanti Cristo. Come in tanti altri momenti della storia, che non è mai uguale a sé stessa, anche se spesso alcune fasi si assomigliano, si assomigliano molto, ma non sono mai uguali. C’è sempre un cambiamento, anche se a volte impercettibile. Ed il cammino è sempre in progressione. Giambattista Vico riposi in pace e ci dia modo di studiarlo con spirito contemporaneo.

 

Ma ricordo altre cose ancora, di quegli anni: nel 1993 in Gran Bretagna il Primo Ministro era John Major, erede, anche se molto meno brillante, di Margaret Tatcher, esponente di una politica che privilegiava lo sviluppo economico a quello civile e sociale; in Francia Francois Mitterand si avviava alla fine del suo mandato e sarebbe stato presto sostituito, di lì a due anni, da Jacques Chirac, conservatore; in Germania Helmut Kohl deteneva saldamente il potere con una politica tesa a rafforzare l'economia e non certo i diritti; negli Stati Uniti era presidente George Bush senior, il padre di tutte le peggiori guerre degli ultimi anni, grande sostenitore delle lobby delle armi.

 

Dove voglio arrivare? A dire che il concetto di Unione Europea nasce negli anni ’50, è vero. Nasce da chi aveva vissuto quella fase della storia in cui i popoli europei avevano rischiato il reciproco annientamento. La sua costruzione prosegue negli anni successivi nonostante le difficoltà della guerra fredda in cui le grandi potenze inchiavardano i paesi europei in ostili alleanze. Si consolida nonostante le crisi relative al terrorismo, alla crisi energetica. Ma viene definita negli anni '90, quando un’ondata conservatrice e liberista dilaga in tutto il mondo.

I suoi sviluppi non potevano essere conformi alle speranze degli anni '50, i le circostanze erano troppo diverse. E quindi sono stati fatti errori su errori. E' venuta su diversa da come la volevamo, questa Europa, diversa dal sogno che avevamo in mente.

 

Però è stata realizzata. Ed esiste.E' reale e concreta.

L’abbiamo voluta e l’abbiamo fatta, questa Unione Europea. Sì, certo, potrebbe essere migliore. Ma se c’è, se esiste, possiamo farla crescere, possiamo farla avvicinare sempre di più a come dovrebbe essere.

Se la osteggiamo, se la denigriamo, se la indeboliamo, torniamo indietro non di decenni, ma di secoli.

 

Indipendentemente dalle nostre idee politiche, diamole forza, a questa Europa. E' una cosa nostra e siamo noi che dobbiamo farla avvicinare sempre più al suo ideale. E' una responsabilità di tutti noi che andiamo a votare il 25 maggio.

 

Perché l’Europa non è solo un ideale, ma è anche e soprattutto una concreta spinta ad un futuro vivibile. Per noi e per tutti coloro che verrano dopo di noi.