Il teatro è una delle più poliedriche e onnicomprensive parti del patrimonio culturale italiano: beni culturali sono i teatri, architettonicamente e storicamente parlando, ma anche i testi e la musica su cui si lavora, i manifesti e i programmi di sala, un universo di beni intrecciati tra loro.
È anche vero però che il teatro è il regno dell’effimero e che ogni sera si crea qualcosa, spesso di altissimo valore artistico, che sparisce al calare del sipario, rimanendo soltanto nella memoria di coloro che hanno avuto la fortuna di assistervi.
Ora abbiamo registrazioni e riprese televisive, ma andando indietro nel tempo tutto quel valore artistico rimane per noi inaccessibile. Non solo, dobbiamo anche pensare a come lavorano, i teatranti a qualsiasi livello: utilizzano e riutilizzano. Per cui scenografie, oggetti di scena, costumi, sono sempre stati elementi mobili, che si potevano utilizzare e riutilizzare in diversi tipi di rappresentazioni. E, inutile dirlo, figli di un Dio minore.
Si dice che Giovanni Ricordi, fondatore della più famosa casa editrice musicale italiana, abbia dovuto la base della sua fortuna ad uno stock di spartiti di grandissimi musicisti italiani che aveva acquisito ad un prezzo stracciato dalla Scala di Milano, e che erano stati buttati nel sottopalco senza che nessuno avesse loro attribuito un qualche valore. Ricordi fu di tutt’altro parere, per fortuna!
Ecco perché è stato così difficile arrivare a considerare i costumi teatrali un bene culturale a tutti gli effetti: sparivano! Venivano manipolati, riadattati, trasformati fino a che non potevano più essere utili a nessuno e quindi buttati via. Se a tutto questo aggiungiamo che la maggior parte delle compagnie italiane sono state sempre “di giro”, cioè senza una sede fissa, ci rendiamo conto che in un tale contesto era ben difficile si sviluppasse anche solo un’idea della necessità di conservare il patrimonio sartoriale.
Superata la tragica fase dell’immediato dopoguerra, soltanto negli anni Cinquanta, grazie agli aiuti americani del Piano Marshall e anche grazie ad un desiderio profondo in tutte le parti della società di riappropriarsi di una vita normale e sicura, dopo un incubo durato sei anni, il teatro ha cominciato a rifiorire in tutte le sue componenti: in questo clima di fermento culturale sono cresciuti grandi attori, grandi registi, ma soprattutto idee, voglia di progettare cose nuove, di interpretare testi diversi dal solito repertorio borghese, di realizzare allestimenti belli, sontuosi, artisticamente straordinari, di dare sfogo ad una creatività che per tanti anni era stata repressa.
Roma era al centro di questo mondo in fermento, una Roma bellissima, con poche macchine e tanta gente, una Roma dove ci si incontrava, si parlava, si progettava, si passavano nottate a farsi venire idee, a fare progetti, si cominciava a ricostruire il teatro italiano, a dargli una forma nuova, diversa, più matura e soprattutto, più internazionale.
In questa Romadunque, sono nate e si sono intrecciate le storie delle grandi Sartorie Teatrali italiane: Annamode, Tirelli, Farani.
ANNAMODE
La Sartoria Annamode nasce nel 1946 dalle sorelle Anna e Teresa Allegri, di professione sarte. Dopo un inizio più pacato, con l’arrivo degli anni Cinquanta tutto diventa un crescendo: le sorelle Allegri lavorano moltissimo per il teatro e per il cinema che vive una stagione fortunatissima, tanto che negli anni Sessanta, Annamode entra addirittura nel campo della haute couture con le sue collezioni. Gli abiti sono indossati dalle star del cinema che sono a loro volta le clienti dell’atelier.
L’attività si raffina e si specializza sempre di più, mentre cresce la coscienza del fatto che quello che hanno tra le mani non sono soltanto begli oggetti, ma anche testimonianze di culturae di storia.
Oggi l’attività fondata dalle Sorelle Allegri è divisa in due settori: Annamode Costumes, che fornisce servizi di consulenza per mostre e ricostruzioni storiche, e la Fondazione Annamode, dove è conservata una collezione di costumi teatrali e di materiali come bozzetti, cartamodelli, manifesti e programmi di sala, ma anche testi sulla Storia del Teatro, tutti documenti che si completano a vicenda, contribuendo a dare un rigorosissimo spaccato visivo e scritto di un’intera epoca.
TIRELLI
Umberto Tirelli nasce a Gualtieri, in provincia di Reggio Emilia, nel 1928.
Dopo un apprendistato in una sartoria locale parte per Milano dove, nel 1955, inizia a lavorare per la “Sartoria d’Arte Finzi: costumi per il teatro”, fornitrice di costumi per la Scala di Milano e per i film di Luchino Visconti.
In seguito si trasferisce a Roma dove, nel 1964, apre la sua sartoria.
Solo nel primo anno di attività lavora per il Teatro dell’Opera di Roma realizzando i costumi per grandi spettacoli di prosa, con registi come Giorgio De Lullo e Luchino Visconti.
Da allora la sartoria Tirelli non ha fatto che crescere ed è arrivata ad una fama di carattere internazionale, curando la realizzazione di film di enorme pregio e successo come Il Gattopardo e Morte a Venezia entrambi per la regia di Luchino Visconti.
Tirelli ha raccolto nel tempo una imponente collezione di più di 15.000 capi autentici che ha donato ai più prestigiosi musei del mondo come il Metropolitan Museum di New York, mentre circa 300 dei suoi abiti costituiscono il nucleo fondamentale della Galleria del Costume di Palazzo Pitti a Firenze.
FARANI
Pietro Farani arriva a Roma tra gli anni Cinquanta e Sessanta.
Da subito frequenta ambienti vivacissimi intellettualmente e in particolare stringe una profonda amicizia con Danilo Donati, che diventerà uno dei più celebri costumisti dell’epoca. All’inizio entrambi lavorano come collaboratori di Annamode, ma nel 1962 Farani apre la sua sartoria.
La lunga e fruttuosa amicizia con un artista come Danilo Donati è sicuramente una delle sue chiavi vincenti, che lo porterà a collaborare negli anni Sessanta con Pier Paolo Pasolini e Franco Zeffirelli.
Ma lavora moltissimo ancheper la televisione, realizzando i costumi per Studio Uno e Canzonissima. Negli anni Settanta c’è un cambiamento di rotta: il cinema italiano declina e Farani decide di orientarsi allora verso produzioni liriche e teatrali che gli aprono le porte dei più importanti teatri del mondo.
La Sartoria Farani è tutt’ora attiva e realizza mostre ed eventi con lo scopo di valorizzare e sostenere il valore culturale dell’artigianato.
CERRATELLI
Diversa, molto più antica e diretta all’inizio esclusivamente al Teatro Lirico, la storia della Casa d’Arte Cerratelli, fondata nel 1914 dal famoso baritono Arturo Cerratelli.
Dalla sua fondazione la sartoria ha lavorato senza mai fermarsi ed è riuscita ad ottenere notevoli riconoscimenti, in Italia e nel mondo.
L’archivio Cerratelli è costituito da costumi, fonti e documenti attraverso i quali si può ricostruire non solo una grande parte della storia del teatro italiano, ma anche la tradizione del lavoro sartoriale nei suoi aspetti più specifici, come i metodi di tintura dei tessuti e le tecniche di conservazione dei modelli storici.
Nel 2005 è nata la Fondazione Cerratelli, con la volontà di conservare un patrimonio di oltre 30.000 costumi storici e di scena, di centinaia di abiti di haute couture e anche migliaia di costumi teatrali prodotti dall’Atelier Carnet.
L’Archivio dispone di una biblioteca con centinaia di testi internazionali sulla Storia del Costume, materiale cartaceo (registri, lettere, bozzetti) che ricostruisce l’enorme lavoro di oltre cento anni di attività della Casa d’Arte fiorentina.
La storia della Fondazione Cerratelli è molto diversa da quella delle tre sartorie romane: mentre la prima poteva contare sul patrimonio e sulla fama del fondatore, Annamode, Tirelli e Farani sono partiti quasi da zero, potendo contare soltanto sul loro genio e sulle grandi opportunità che Roma offriva ai tempi dei loro inizi.
Ma per capire bene il grande servizio reso da queste grandi sartorie al Teatro Italiano dovremmo tornare ancora a riflettere su quanto la sua sorte abbia risentito di una costante precarietà e di mancanza di fondi. Ci sono teatri che sono dei veri tesori di bellezza e di storia oggi chiusi e lasciati in abbandono. A causa di questa costante e perniciosa instabilità, le compagnie teatrali in Italia si sono sempre dovute rivolgere, per quello che riguarda le scenografie, l’attrezzistica e i costumi, ad aziende private, che creavano di bel nuovo o spesso noleggiavano, tutto quello che poteva servire alla realizzazione di uno spettacolo.
Di fatto, nel male e nel bene, è questa necessità di rivolgersi a soggetti esterni che ha permesso a tutte le grandi sartorie di cui abbiamo parlato di crescere e di specializzarsi, di collaborare con grandi artisti e grandi registi, di collezionare e conservare nel tempo i risultati del loro lavoro, acquisendo e diffondendo una coscienza del valore degli abiti e dei costumi come parte integrante, a pieno titolo, del patrimonio culturale italiano.
Emilia Sonni - marzo 2021