Anni trenta. Tempo di frac e lucidi e neri cappelli a cilindro. Abiti leggeri e fluttuanti. Chiffon, paillettes, piume e lamè. Canzoni d’amore. Perché sono belle, ma anche perché è troppo difficile e faticoso parlare d’altro. C’è bisogno di magia per affrontare la realtà. Anche per questo l’illusione cinematografica è così potente. Mi torna in mente ancora Fred Astaire e una sua canzone del 1936: Just the way you look tonight. Probabilmente vi sembrerà un titolo conosciuto, perché l’hanno cantata quasi tutti i più grandi interpreti di tutti i tempi: da Frank Sinatra a Rod Stewart, e poi ce n’è anche una versione molto bella in un film di pochi anni fa: My best friend’s wedding, una versione molto lenta e molto soft, da night, mentre quella di Fred Astaire è molto più….ballabile, ovviamente.
Sapete come succedeva quando eravamo ragazzi e ci piaceva una canzone e non sentivamo altro dalla mattina alla sera? Ho controllato con mia figlia, succede ancora così.
Bene. A me prende adesso la mania di questa canzone, nonostante la mia veneranda età, e mi metto ad ascoltarla dalla mattina alla sera, giorno dopo giorno.
Poi, proprio come succede ai ragazzi, mi viene voglia di sapere esattamente cosa dice, così mi metto a tradurla. Purtroppo sono sempre stata una frana nelle traduzioni, sia che fossero dal greco, dal latino, dal tedesco o, come in questo caso, dall’inglese. Così sbaglio subito e traduco “just the way you look tonight” in: “proprio il modo come mi guardi stasera”, non accorgendomi che mi sono inventata un complemento oggetto che nella frase non c’è, dandolo, chissà, per sottinteso. Peccato che lì non servisse. Poi faccio controllare la mia versione a marito e figli, che sanno tutti l’inglese molto meglio di me, e viene fuori subito l’errore. “Just the way you look tonight” vuol dire: proprio il modo come appari, come sei (quindi, in un certo senso, come ti vedo e non come mi guardi), stasera. Per rendere il mio significato avrebbe dovuto essere: “just the way you look at me, tonight”.
Peccato, mi sarebbe piaciuta di più la mia versione. Così mi soffermo a pensare perché…
…e mi sovvien l’eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva e il suon di lei…
Già, lo scorrere del tempo, anche impercettibilmente, segna anche i più piccoli particolari per cui, rifletto, nel 1936 poteva essere “il modo come appari stasera”, mentre oggi potrebbe essere solo “il modo come mi guardi, stasera”. Perché?
Proviamo a immaginare la I scena:
Lui. Maturo e affascinante, un po’ disilluso, disincantato, non più proprio scettico ma quasi, ha conosciuto tante passioni, tante avventure, illusioni e disillusioni. Lo sguardo un po’ cupo dei profondi occhi scuri non conosce più curiosità e innocenza, è uno sguardo un po’ stanco, passa sulle persone senza soffermarsi e poi torna a guardare nella sua coppa di champagne, che lentamente porta, con gesto elegante, alle labbra.
Lei. Giovane, molto giovane. Ai limiti della legalità, direi. Quasi sicuramente bionda, o forse no, innocentemente, naturalmente castana, ancora preservata da maliziose tinture. Grandi occhi, spalancati e ingenui. Inconsapevoli. E ottusi.
Che fa, la fanciulla? Sta lì a farsi guardare, ovviamente, incantata dal luogo…un night?…dalla musica…un fox trot? E dal fascino maturo e disilluso del suo cavaliere.
Lui solleva lo sguardo dallo champagne e…confusa dapprima dal fumo della sua sigaretta, finalmente la vede. La giovinezza, l’innocenza, l’amore ancora allo stato puro, inconsapevole e ancora del tutto innocente. Si perde e s’incanta nella sua giovinezza, ritrova ricordi di sensazioni perduti, sogni infranti e messi dolorosamente da parte.
Non la vede, lei non è una donna, non è una ragazza reale, è un sogno, un simbolo, lo specchio dei suoi sentimenti di un tempo lontano, la freschezza che lui non ha più. Vorrebbe fermare quest’attimo nel tempo e le dice: quando il mondo sarà freddo e gelido, un giorno, voglio ritrovare in me questo calore, questa dolcezza, semplicemente ricordando come sei. Davanti a me, qui, questa sera.
Una storia un po’ demodée, ma con i giusti interpreti potrebbe essere anche una bella storia. Pensate ad esempio se ad interpretare lui fosse stato Humphrey Bogart, al dolcissimo sguardo dei suoi occhi tristi.
Ma perché questa storia non potrebbe andare bene oggi?
Perché lei non parla, non vive, forse non respira nemmeno. Lui le parla d’amore, ma è come se lo facesse allo specchio. Lui parla d’amore a sè stesso, alla sua giovinezza, ai suoi desideri infranti. Lei non è che un pretesto, un’immagine idealizzata che si confonde col fumo della sua sigaretta, con le bollicine della sua coppa di champagne.
Pensate ora all’altro verso: “il modo come mi guardi stasera”. Ecco che lei non può più essere un’ombra, un simbolo, un fantasma, uno specchio. Lei è una donna. Che lo guarda, che pretende attenzione, che sicuramente gli parla. Mentre nella prima versione tutti i versi della canzone sono un soliloquio, inserendo semplicemente quell’“at me“, ecco che diventa un dialogo.
Viva e vivace, curiosa, attenta, innamorata e decisa ad amare a sua volta, non si accontenta di lasciarsi guardare, di lasciarsi amare, guarda, ed ama, a sua volta.
Che bel cambiamento.
Continuo ad amare questa canzone. E forse avrei amato Humphrey Bogart se avesse interpretato quel ruolo. E mi sarei persa anch’io nei suoi dolci occhi tristi.
Ma poi, con estrema gratitudine al tempo che passa e che fa maturare il tempo e noi uomini e donne, penso al viso di mia figlia, ai suoi occhi bellissimi, luminosissimi e vivacissimi, che vogliono guardare, che fanno domande e pretendono risposte, che non si accontenterebbero mai di diventare lo specchio di qualcuno.
E che magari reclamerebbero l’attenzione tirando una scarpa col tacco.
(Per chi non la conoscesse, l’ultima frase fa riferimento ad un’altra canzone: Raggio di sole, di Jovanotti, che parla delle donne in tutt'altro modo, per fortuna:-)))