2003 - Perché mi piace "Chicago"

(il film...)


Avete visto La rosa purpurea del Cairo di Woody Allen?

 

E’ quel film dove un attore del cinema, durante la proiezione di un film, si innamora di una spettatrice ed esce dallo schermo per stare con lei; l’attore vero, in carne e ossa, viene a sapere di questa anomalia che rischia di rovinargli la carriera e accorre per risolvere la situazione, ma finisce per innamorarsi anche lui della stessa ragazza; lei, indecisa tra i due, decide di scegliere l’uomo reale.

E sbaglia. L’attore dello schermo, con il cuore infranto, torna nel suo mondo di celluloide e l’attore in carne e ossa l’abbandona senza neanche dirle addio.

 

Sola e abbandonata, la ragazza si rifugia nell’unico posto dove trova conforto nella sua squallida vita: al cinema, dove danno l’ultimo film di Fred Astaire e Ginger Rogers: "Il cappello a cilindro". Lei si siede e comincia a guardare, mentre ancora le lacrimano gli occhi. Si sentono le prime note di Cheek to cheek: Heaven, I’m in heaven, and my heart beats so that I can hardly speak…and I seem to find the happiness I seek, , when we’re out together dancing cheek to cheek. Seguono le note della musica e il ballo, Ginger Rogers balla sfiorando appena il pavimento, facendo volare le piume del suo vestito. Fred Astaire sembra una creatura di un altro mondo, in armonia con l’aria stessa che lo circonda.

La ragazza piangente osserva la scena e il suo volto si trasfigura: le lacrime cessano, i lineamenti si distendono e il suo viso si illumina mentre un sorriso le appare negli occhi.

 

A compiere la trasformazione sono stati solo pochi minuti d’incantesimo, ma di un incantesimo potentissimo: il cinema.

 

Credo che sia una delle scene più belle di Woody Allen ma pensate un po’ alla sua scelta: per incarnare il potente mago il grande regista americano non sceglie grandi scene d’amore, risate, lacrime e poderosi colossal, ma sceglie un film musicale, banale in apparenza, ma in realtà un raffinatissimo cocktail di musica e danza, spumeggiante come una coppa di champagne e altrettanto inebriante. Magico, appunto.

Perché c’è qualcosa che possa colpire maggiormente i sensi, di questa afrodisiaca mistura di luci, colori, note, visi luminosi, stoffe impalpabili, ombre e penombre? Mistura che altro non è che la cristallizzazione del teatro, luogo d’incanto dove il tempo si ferma e l’impossibile accade.

 

Ma cos’è che rende così forte questa magia? Dice Baricco che Hollywood non fa altro che quello che ha fatto l’opera nell’Ottocento: in sostanza schematizza e simbolizza i topoi artistici e letterari. E come ci riesce? Facciamo un esempio.

 

Sono stata a vedere Chicago, il musical firmato Kander e Ebb, film pluripremiato nella notte degli Oscar. Me ne sono entusiasmata. L’ho visto due volte, ho comprato il CD e mi sono disposta con ansia ad attendere l’uscita del DVD.

 

Poi mi sono chiesta il perché di tutto questo entusiasmo. È un bel film. D’accordo. Le canzoni sono belle e orecchiabili. D’accordo. Gli attori, anzi, le attrici, sono molto brave. D’accordo. Le coreografie sono belle.

 

Sì, d’accordo, ma tutto questo non lo differenzia da moltissimi altri musical americani. Soprattutto non lo differenzia molto da Chorus Line, uscito nello stesso anno della prima versione di Chicago, il 1974, e riuscito vincente nel confronto diretto, avendo fatto man bassa di premi in tutti i concorsi cui avevano partecipato insieme.

 

Allora cos’è che rende così particolare Chicago? L’immoralità?

 

Sentiamo la storia. Siamo, ovviamente, a Cicago, nel 1924: gli anni ruggenti. La diva del varietà Velma Kelly, una bellissima e bravissima Cahterine Zeta Jones, (che non è solo la moglie di Michael Douglas), Oscar come miglior attrice non protagonist) spara a sua sorella, sua partner nello spettacolo, dopo averla sorpresa in flagrante adulterio con il marito. Finisce in galera.

 

La bionda Roxy Hart, Renée Zellweger (Oscar purtroppo mancato come miglior attrice protagonista), sensuale, ambigua, poliedrica, quasi troppo brava per il cinema americano, vorrebbe arrivare anche lei al palcoscenico e concede allo scopo le sue grazie ad un venditore di mobili che le fa credere di essere amico del proprietario del varietà. Roxy scopre l’inganno, gli spara e finisce anche lei in galera.

 

Ma a difendere le assassine, dietro lauto compenso, ovviamente, ecco che arriva Bill............... Richard Gere (non più solo bello), avvocato rampante, invincibile e immoralmente deciso a far assolvere tutte le colpevoli. Il processo di Roxy ha inizio e la giovane bionda, innocente e iinocua come un barracuda, diventa la star del momento, abilmente manovrata da Bill.

Tutte si vestono e si pettinano come Roxy, tutti parlano di Roxy, tutti amano Roxy. Persino Velma passa in secondo piano.

 

Arriva il giorno del processo: talento naturale dell’inganno e magistralmente diretta da Bill, Roxy incanta la giuria e viene dichiarata innocente. Ma dove sono i fotografi? Dov’è la stampa? Tutti spariti? Eh, già. Tutti spariti. E perché? Perché un’altra giovane donna ha avuto l’impudenza di commettere un clamoroso assassinio proprio poco prima della sentenza e la stampa e il pubblico sono ormai pronti ad adorare un’altra assassina, dimenticando Roxy.

 

Eh, già, così si vive a Chicago negli anni ruggenti.

 

Sconsolata, Roxy tenta la fortuna facendo audizioni in teatrini di quart’ordine, dove viene sempre scartata, fino a quando incontra Velma che le propone l’idea vincente: un numero a due.

 

Sarà il trionfo.

 

Perché? Perché sono belle? Perché sono brave? Perché una è bionda e l’altra è bruna? Ma no! Naturalmente perché son, non una, ma due assassine che cantano e ballano e sparano con bianchissimi mitra scrivendo a suon di proiettili il loro nome sull’insegna luminosa che giganteggia sul palcoscenico.

 

Perché... TUTTO È JAZZZZZZZZZZ!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

 

Ho cercato di capire che cosa mi ha stregato in questo film e mi sono data alcune risposte.

 

Intanto è pieno di donne e mi sono sempre piaciuti i film con le donne: sono più allegri, più colorati, più divertenti. Non si parla mai di temi pesanti e noiosi. E poi, se proprio il film è mediocre, ci si può sempre divertire a commentare i vestiti delle attrici. Ma, a parte rari casi, sono sempre donne buone o, se proprio sono cattive, inevitabilmente si pentono o vengono giustamente punite.

 

Qui no: le donne sono bellissime, sensuali, bravissime.

 

E cattivissime.

 

Inoltre non solo non vengono punite ma anzi, ottengono fama e successo, trionfano sul palcoscenico, smaglianti di bianchissime e scintillanti paillettes, irridendo la legge, la morale, il pudore e la virtù. E se le vedi vien voglia anche a te di applaudire e di entusiasmarti, novelle dee della perfidia.

 

Ma allora com’è, mi sono chiesta, sono diventata immorale anch’io?

 

No, perlomeno non credo. È che queste donne ti danno una sensazione di libertà, ma di una libertà allegra, completamente amorale. E tra una donna prigioniera di una falsa moralità, che magari muore per colpa di questa (un illustrissimo esempio? Anna Karenina, ma quella di Greta Garbo, ovviamente, restiamo a Hollywood) e una donna forte e libera, anche se del tutto amorale, mi sono scoperta a parteggiare inesorabilmente per la seconda.

 

Specialmente se sa ballare il charleston.

 

A qualcuno però questo film dà fastidio perché troppo immorale: nessun cattivo viene punito, anzi, ad essere impiccata, tra le splendide assassine che ballano un tango travolgente, sarà l’unica innocente, ovviamente la più slavata e la più noiosa.

 

Credo di aver visto però film molto più immorali: vi ricordate quei film sui gangster e il proibizionismo, dove i gangster erano sempre gli attori più famosi e quindi si finiva sempre per parteggiare per loro? Chi non è stato deluso quando l’Al Capone di E. G. Robinson è stato messo in galera per evasione fiscale?. E, scusate, ma non è molto più immorale Il Padrino? vorrei sapere chi sarebbe stato contento se Marlon Brando avesse finito i suoi giorni in galera invece che nel giardino della sua villa. O se Al Pacino non si fosse giustamente vendicato della morte della sua bella moglie siciliana, uccidendo alcune decine di persone.

 

Ma perché questi film risultano davvero immorali e Chicago no?

 

Ma perché... tutto è jazz!

 

No, scusate, non è una battuta.

 

Il Padrino ha la pretesa di essere un film serio, quasi storico, però ti coinvolge in sentimenti di partecipazione che ti fanno passare sopra il fatto che si stia parlando di criminali e di assassini. Vedere un mafioso con il volto di Al Pacino ti fa quasi venire la tentazione di conoscerli, e magari di pensare: be’, ma forse, proprio tutti i torti non ce li avevano...

 

Non è immorale e veramente pericoloso, questo?

 

E perché il jazz salva le nostre affascinanti assassine? Perché è la musica che ci distacca in continuazione da una finta realtà, che ci permette di capire che tutto questo è finzione, che ci restituisce il metro di giudizio e la capacità di distacco. Adoriamo Roxy esattamente come i suoi boys e il suo pubblico, ma sappiamo bene che quello è un palcoscenico e non ci sogneremmo mai di paragonare ad esso la nostra realtà.

 

Pensateci bene, ma tutto questo non ricorda molto da vicino Bertolt Brecht e la sua drammaturgia? Le canzoni ricordano al pubblico che tutto è finzione, che non devono identificarsi con nessuno. Infatti in Chicago il tribunale diventa varietà e il varietà diventa tribunale… E la bruna Velma non ci ricorda magari un po’ Jenny dei Pirati, dell’Opera da tre soldi? Ma Mackie Messer non lo troveremmo dietro le sbarre dell’Ucciardone, mentre, qualche Padrino, forse sì…

 

Ecco perché forse, Il Padrino è un film immorale e Chicago no.

 

Vorrei chiudere scomodando il buon Aristotele.

 

Credo fermamente nella funzione catartica dell’arte. Credo che uno spettacolo dia la possibilità di scaricare i propri istinti peggiori, rendendoli innocui. E così ringrazio Chicago per avermi resa una persona decisamente più pacifica e non aggressiva permettendomi di gioire del trionfo delle abiette assassine e di pensare senza inibizioni, al momento dell’impiccagione dell’unica imputata innocente, slavata quanto noiosa:

 

“Sì! Muori una buona volta! E finiscila di lamentarti!”

 


Andate a vederlo.

 

E imparate il charleston.

 

Fa bene alla salute ed è più divertente dell’aerobica.

 

E poi….

 

ALL THAT JAZZZZZZZZ!!!!!!!!!!!!!!!!